In ossequio ai dettami della proprietà sono arrivati cinque giocatori giovani, tutti costati entro i 25 milioni, quasi tutti molto meno. Al momento si può dire che quattro dei cinque nuovi arrivi sono stati sostanzialmente azzeccati. Solo Luis Henrique lascia perplessi. È una buona media. Ma nessuno di questi è attualmente in grado di trascinare la squadra nel momento di necessità. La squadra non era “finita”, dopo il finale della scorsa stagione, ma doveva essere in qualche modo aiutata a ripartire e andava rafforzata nelle strutture portanti. Così non è stato e la squadra sembra andare incontro a delle “costanti” che sono positive, purtroppo meno numerose (segniamo molti goal, contro le squadre medio basse perdiamo pochissimi punti e diamo anche spettacolo), come negative. Prendiamo molti goal, spesso non riusciamo a gestire il vantaggio, contro le squadre forti e nelle partite decisive o fondamentali andiamo sovente in difficoltà, soffriamo le squadre di grande ritmo, che giocano con moduli non speculari e hanno attaccanti rapidi sugli esterni. Sono tutte ragioni che sono dentro la semifinale di Supercoppa persa ai calci di rigore contro il Bologna e che meritano di stare al centro di riflessioni da parte della proprietà per quello che è il prosieguo della stagione, dato che siamo prossimi all’apertura della sessione invernale di calciomercato. La Primavera, intanto, mentre la prima squadra esce sconfitta dalla sfida contro il Bologna, vince contro il Genoa con il risultato di tre a uno. Continua l’ascesa degli uomini di mister Benny Carbone, che appaiono in un momento di condizione brillantissima, nonostante le continue rotazioni di giocatori (tra Under 18 e Under 23) e nonostante l’età media contro bassa. Contro i rossoblù, che ci incalzavano da vicino e che dispongono di elementi maturi e insidiosi, non c’è stata partita. Questa squadra ha davvero molti talenti e potrebbe nel tempo regalarci anche qualche bella sorpresa a livello di individualità importanti. Intanto fa punti e gioca benissimo.
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L’entusiasmo e la prudenza: Inter – Como 4-0
La partita contro il Como è stata entusiasmante: alcune giocate, alcune intere fasi di gioco sono state sublimi, così come sono state definite da un amico sul blog. Certo, bisogna chiedersi se non sia tutto oro quello che luccica, soprattutto in una prospettiva che si proietta sull’intera stagione. Lo stesso Chivu ha detto che si poteva fare di meglio e che c’è ancora molto da lavorare. L’Inter gioca bene e quando sta bene, il suo gioco è come detto assolutamente entusiasmante. Ma restano le preoccupazioni su questo tipo di gioco, che prevede pressing altissimo, grande intensità, capacità del gruppo di rimanere compatto, in avanti o nei recuperi, secondo la situazione. Non si può giocare ad altissimi livelli in questo modo per tutta la partita, non si può farlo per tutta la stagione, non so se si può farlo quando l'avversario è più forte. Non è disfattismo, semplicemente non ci si vuole fare travolgere da un entusiasmo comprensibile, ma un po’ troppo “spensierato”. Per venire alla partita, Chivu sembra possedere la capacità proprio dei grandi allenatori, di leggere e capire la condizione del momento dei suoi atleti. Mette Pio, Diouf e Luis Henrique nei momenti e nelle situazioni giuste. Contro il Como siamo partiti fortissimo, con un ritmo e un’intensità pazzesche, unite a tanta qualità. Siamo andati in vantaggio dopo otto minuti di dominio incontrastato, quando una ripartenza di Luis Henrique si è tradotta in un assist per il capitano, che brucia sul tempo il suo difensore e insacca splendidamente. La vera svolta del match però è il secondo goal di Thuram, che arriva mentre stavamo soffrendo il Como: bravura e “suerte”. Semplicemente strepitoso poi il terzo goal, con protagonisti un incredibile Barella, l’ispirato Lautaro, Mkhitaryan (al ritorno in campo) e il bomber Calhanoglu. Sesto centro in campionato per il centrocampista turco. La partita finisce qui: il Como si rassegna e due minuti dopo, Carlos, subentrato, segna la quarta rete. Il lavoro di Chivu è veramente molto buono, è un grande uomo e un ottimo allenatore, ma come tutti, è atteso ad altre risposte convincenti, a partire dalla prossima sfida di Champions contro il Liverpool.
Quattro indizi decretano la fine di un’era: Inter – Milan 0-1
La maggior parte di noi aveva capito che un'era era terminata almeno dalla sera di Psg - Inter. Tra l’altro le somiglianze con la tragica fine del ciclo dell’Inter di Herrera sono impressionanti. Così come è vero che oggi come allora sarebbero servivi investimenti pesanti su giocatori in grado di capovolgere la deriva, ormai evidente, e di trascinare la squadra verso una ripresa imperiosa. Bisognava prendere giovani che in futuro dessero, sperabilmente, un valore aggiunto. Invece sono stati presi, a un allenatore giovane (bravo, ma che non avendo un curriculum importante, pur di allenare l’Inter, si fa andare bene qualunque situazioni gli si prospetti) giocatori giovani che possano essere eventualmente future “plusvalenze”. Sotto questo aspetto, la differenza su quello che ha invece ottenuto Massimiliano Allegri, è evidente. Se sei al vertice da un po’, hai bisogno di importanti investimenti su giocatori di qualità per restarvi e noi non abbiamo preso vere alternative. Invece Allegri, che è un grande allenatore e che dà alle sue squadre un gran gioco, nel senso di un gioco pratico ed efficace, ha avuto a disposizione una rosa importante: ha preso i giocatori che gli servivano, subito, cedendo anche qualche elemento fortissimo che però era una sorta di mela marcia, che guastava il cestino intero. O non era adeguato alle sue necessità. E ha rivalutato altri che avevano grandi qualità ma non le sfruttavano al massimo perché impiegati in modo sbagliato e forse non sufficientemente responsabilizzati. Chivu si è trovato a gestire una rosa che era stata costruita per un certo tipo di gioco e lo aveva praticato piuttosto bene e che forse nel suo insieme non è funzionale a un cambiamento 'tattico' profondo. Non ha avuto alternative, capaci di fare subito la differenza. A parte questo, contro il Milan, considerazioni sulla qualità e sulla composizione della rosa, come sul sistema di gioco, contano poco: contano di più l’abilità dei due portieri e la scarsa precisione dei nostri (rispetto al loro solito). Questa volta gli errori individuali hanno pesato di più che per quello che riguarda le sconfitte contro l’Udinese e la Juventus. Certo quattro sconfitte (quattro indizi) ci inducono a doverci rassegnare: per un motivo o per l’altro quest’anno non avremo continuità. L’obiettivo sembra proprio restare nelle prime quattro, qualificarci per la prossima Champions League magari con un po’ di anticipo e fare intanto un buon cammino proprio in Coppa per non perdere, oltre che soldi, credibilità internazionale.
Un’Inter camaleontica: Inter – Slavia Praga 3-0
Un’Inter “camaleontica” batte tre a zero lo Slavia Praga (doppietta di Lautaro, goal di Dumfries) e ottiene la quarta vittoria consecutiva tra campionato e Champions. Parliamo di un’Inter camaleontica non tanto per il tipo di gioco, per il modulo o per l’atteggiamento agonistico, che nella sostanza restano immutati, quanto per gli uomini che compongono l’undici iniziale. Ben sette giocatori su undici sono scesi in campo a San Siro rispetto ai “titolari” di Cagliari, senza che cambiasse l’esito dell’incontro: vittoria netta nostra e zero tiri in porta parati dai nostri numeri uno. Al momento sembra che non faccia differenza, nei meccanismi complessivi, se gioca Martinez o Sommer; Akanji o Bisseck; de Vrij o Acerbi; L. Henrique o Dumfries; Barella o Zielinski; Mkhitaryan o Sucic; Carlos Augusto o Dimarco. Chiaramente ci sono poi 2-3 uomini guida che hanno funzione trascinante: Calhanoglu (che non ha neppure un sostituto di ruolo), Lautaro, Thuram. Quando sono al top sono imprescindibili, in attesa magari della crescita degli altri. Importante il lavoro psicologico di mister Chivu. Non era facile: si trattava di appianare divergenze anche profonde, emerse pubblicamente, ma anche di rimotivare la squadra ricordandole e richiamandone l'autostima attraverso la valorizzazione di quanto costruito negli anni, che non poteva essere intaccato da qualche partita sfortunata dopo un'annata eccezionale (e non è stata certo l'unica). Sul piano del gioco, la differenza fondamentale tra l’allenatore e il suo predecessore sta, almeno a livello di intenzioni, nel far correre la palla anziché far salire gli uomini da dietro. Un gioco che richiede braccetti e almeno un centrocampista a turno più posizionali e da un lato punte in grado di tenere la palla (con una che viene incontro e l’altro, oltre Dumfries, che cerca la profondità), dall’altra che tutta la squadra accorci in avanti per evitare che tra gli offensivi e il resto ci siano praterie offerte alle ripartenze avversarie. I problemi principali non sono risolti, ma sotto questo aspetto, dopo le gare contro Udinese e Juventus, abbiamo visto sicuramente dei miglioramenti.
La convalescenza sembra terminata, ma occhio alle ricadute: Cagliari – Inter 0-2
L’azione andrebbe rivista al ralenty, ma il palo di Folorunsho, giocatore alto un metro e novanta e peraltro autore di una buona prestazione, è un’occasione che non andava concessa agli avversari. Questa è stata tuttavia l’unica effettiva azione da goal che abbiamo concesso ai rossoblù nel corso di una partita in cui tutti i dati sono a nostro favore e confermano la nostra superiorità, se non il nostro dominio. Detto che esiste pure l’avversario, va riconosciuto che contro il Cagliari non siamo stati “rimontati” (cosa che si è purtroppo verificata nel corso di questa stagione) ma abbiamo – anzi – raddoppiato. Se guardiamo ai dati positivi, la qualità del nostro gioco e la produzione offensiva, dopo la sconfitta contro la Juventus (ma ancora di più se facciamo il raffronto con la gara contro l’Udinese) sono andate sempre migliorando. Abbiamo vinto tre partite, di cui due in trasferta, tra campionato e Champions League, e in due partite su tre non abbiamo subito reti. Non ci sono dubbi che la prolificità in rapporto alle occasioni create e la necessità di rendere più impermeabile la difesa sono sicuramente i punti da continuare a migliorare. Anche se contro il Cagliari, che è una buona squadra e in un momento positivo, non abbiamo concesso, come detto, nessun tiro nella luce della porta. C’è stata uan differenza nella prestazione tra un tempo (il primo tempo ha sicuramente soddisfatto pienamente sia i risultatisti che gli esteti) e l'altro c'è stata e sino al raddoppio di Pio, nel finale, siamo stati tutti in grande tensione: nella ripresa non siamo più riusciti a pressare alti e anzi qualche volta siamo andati in difficoltà per il loro pressing, dal quale faticavamo ad uscire più del lecito, per qualche errore individuale di troppo. Considerazioni finali? Dobbiamo imparare a essere più cinici sotto porta avversaria, sempre concentrati, più pratici e magari qualche volta meno supponenti in fase di contrasto e ripartenza (abbiamo visto, tra l'altro almeno 4-5 colpi di tacco o giocate pretenziose: sempre meglio essere pratici e andare sul sicuro). In compenso è confortante la disponibilità degli attaccanti ad aiutare, anche arretrando in fase di non possesso, perché la compattezza e la densità consentono di limitare al minimo le opportunità altrui. Infatti lo spirito di sacrificio nell'interesse generale è sintomo di un gruppo sano e determinato a perseguire obiettivi che ritiene possibili. In classifica accorciamo sulle prime, che però ora sono più numerose.
Abbiamo preso un brodino o un antipasto? Ajax – Inter 0-2
La prima di Champions è stata un brodino o un antipasto? Ce lo diranno ovviamente le prossime partite. Sicuramente con la vittoria in casa dell’Ajax, nella prima gara di Champions, affrontata con parecchio timore dopo le due sconfitte contro Udinese e Juventus, non fa svanire tutto di colpo le preoccupazioni, ma è comunque il segno di una reazione. Si tratta di una risposta incoraggiante per un’Inter tuttavia convalescente e che deve stare attenta alle ricadute. Contro l’Ajax, Chivu non ha sbagliato nulla (per la verità non ha commesso particolari errori neppure contro la Juventus). A partire da alcune scelte individuali. Sommer secondo alcuni non avrebbe dovuto giocare, ma poi con una parata decisiva in particolare, ha indirizzato il match sul giusto binario; de Vrij, che ha giocato al posto di Acerbi, è stato forse il migliore in campo. Sicuramente la partita non è stata tatticamente “difficile”, sotto certi aspetti: i lancieri hanno giocato “aperti”, accettando gli scontri in campo aperto e noi non siamo stati inferiori tecnicamente, contro una squadra che per tradizione sforna giocatori che danno del tu al pallone, e superiori in alcuni elementi sul piano e della corsa. Dominante la prestazione di Marcus Thuram, incontenibile: due goal e un rigore guadagnato, ma negato ingiustamente, parlano da soli. Elargisce una grande sensazione di strapotenza. Esordio in Champions League positivo per Pio Esposito: lotta, difende la palla con personalità e fa salire la squadra.
Abbiamo giocato così bene che… hanno vinto loro: juventus – Inter 4-3
Contro una Juventus fortissima, al di là della natura dei sistemi di gioco attuati dalle due squadre e dalle scelte degli allenatori e al di là della “casualità” delle circostanze, abbiamo tenuto comunque il campo con autorevolezza e quasi con superiorità, così come molto di rado si è visto negli anni. Eppure abbiamo perso. E non abbiamo perso per caso. Certo, si può salvare la prestazione (lo spirito, la determinazione, la capacità di “fare la partita”) ma abbiamo perso giustamente e abbiamo mostrato i soliti limiti che hanno caratterizzato le (poche) prestazioni negative delle ultime stagioni: centrocampo bravo nella manovra ma poco fisico (forza e corsa); attacco privo di un giocatore che vinca l’uno contro uno; assenza di uomini che possano essere decisivi partendo dalla panchina. Poi c'è un problema tattico ricorrente: sulle seconde palle o sui cross dal fondo all'indietro, lasciamo sempre troppo spazio ai giocatori che si presentano centralmente ai limiti dell'area. I risultati oggi chiedono dei cambiamenti. Oggi è evidente che i titolari giochino perché sono ancora i più forti: la riconoscenza non c’entra nulla. Se mancano le risorse economiche (certo i soldi spesi per giovani futuribili, potevano essere spesi per due titolari – come Lookman e Koné, per fare due nomi – e forse le cose sarebbero andate diversamente) forse va allora cambiato qualche cosa a livello dirigenziale. Speriamo di sbagliare, ma la stagione appare sin da ora negativa con la conseguente necessità di una mezza rifondazione.
Chi ben comincia è… a un trentottesimo dell’opera: Inter – Torino 5-0
Tutto bene all’esordio in campionato, per quello che riguarda l’Inter di Cristian Chivu, all’insegna della razionalità nel gioco e nell’introdurre quelle che sono le innovazioni che il mister ha in mente. La squadra ha affrettato, necessariamente, la preparazione e sembra arrivata subito, se non al top a una condizione molto positiva. L'incognita naturalmente è sulla lunga distanza quando il ridotto lavoro di base potrebbe causare qualche flessione. Naturalmente non si vuole sminuire l'entusiasmo per un avvio di stagione davvero imprevedibile, almeno in questa “quantità”. Come detto, la squadra è apparsa già al top, come dimostra l'aggressività e soprattutto la prontezza dei rientri, elemento fondamentale per garantire la protezione difensiva Allo stesso tempo moralmente è sembrato proprio che lo shock delle due competizioni perse malamente sul filo di lana sia stato assorbito dal gruppo, che del resto aveva già mostrato in passato una forza interiore e una compattezza del tutto affidabile. Chivu ha dimostrato molta saggezza e conoscenza del calcio, concetto che va molto oltre la capacità di valutare i singoli e 'vedere' il gioco. Il modulo di gioco visto contro il Toro è stato quasi sempre lo stesso di Inzaghi, ma alcuni cambiamenti si sono già visti: meno liquidità, posizionamenti rispettati, maggior verticalizzazione, maggior aggressività, quest'ultima per altro potrebbe essere frutto delle diverse condizioni di freschezza, almeno rispetto alla parte finale dello scorso campionato. Poi la condizione, già buona, ha permesso alla squadra di restare sempre e comunque compatta. Tra le prestazioni individuali, spicca in particolare quella del nuovo arrivato Petar Sucic. La prestazione del centrocampista croato è di assoluto rilievo per dinamismo, tecnica e qualità delle giocate. Prezioso in fase di costruzione e di rifinitura (vedi qui pure l’assist geniale per la prima rete di Thuram, autore di una doppietta), si segnala anche per alcuni recuperi difensivi di grande importanza.
Aspettando… Godot
Nel post affrontiamo diversi argomenti. Cominciamo dalla prima squadra e in particolare dal calciomercato dove l’attesa è oggi l’atteggiamento del tifoso medio dell’Inter. Per qualcuno “Godot” è Lookman, per qualche altro Koné. I più ottimisti aspettano ancora entrambi. Poi c’è chi si aspetta un difensore. Sta di fatto che nella tarda primavera è stato fatto il mercato che si riteneva “necessario” fare e che si è poi rimandato a più tardi la possibilità di rafforzare la squadra qualora si fossero presentate “occasioni”. Ovvero giocatori forti a prezzo accessibile. La rosa oggi però è sicuramente buona ma forse incompleta e già una volta il braccino corto della proprietà ci è costato caro: il mercato non è ancora chiuso e c’è spazio per cambiare l’inerzia. Questo anche perché la nostra situazione presenta delle evidenti difficoltà: nuovo allenatore, una preparazione necessariamente abbreviata, nuovi preparatori, soprattutto nuovo tipo di gioco (più posizionale e meno liquido rispetto al passato). Sotto questo aspetto facciamo riferimento anche alle ultime due amichevoli contro il Monza e contro l’Olympiacos. Molto negativa la prima, decisamente meglio la seconda. Veniamo poi all’Under 20 che ha vinto 1-0 a Monza (rete di Iddrissou). La squadra allenata da mister Carbone “arruolava” una decina di classe 2008, cioè giocatori di due anni sotto età, tra campo e panca. Questo comporterà una minore competitività della squadra nel lungo periodo (la vittoria stentata e i tanti momenti di sofferenza potranno essere una costante di tutta la stagione), ma dall’altro faciliterà la crescita dei giocatori più interessanti. Appare solida la linea difensiva, mentre ci sono maggiori problemi a centrocampo (dove sarà necessaria l’affermazione dei 2008 La Torre, Virtuani e Putsen) e davanti gran parte delle possibilità sono legate alla vena proprio di Iddrissou. Si può dire invece ben poco al momento tanto dell’Under 23 quanto delle altre squadre del settore giovanile. Per quanto riguarda l’Under 23, la considerazione iniziale è che mister Vecchi ha adottato il modulo base della prima squadra, cioè il 352. Si tratta di una squadra che è destinata a essere molto variabile. Il gruppo sembra essere stato tuttavia costruito con criterio e non ci sono dubbi sul fatto che il mister Vecchi a questo livello sia una garanzia. Servirà tuttavia tempo per valutare il lavoro di scouting, detto che – così come è stato detto per l’Under 20 – questa squadra non avrà affatto vita facile in un campionato che è sicuramente molto competitivo. Ogni partita sarà combattuta, ma è questo poi quello che serve ai ragazzi per crescere. Ps. Se qualcuno ha indicazioni su come fare l’abbonamento alle partite dell’Under 23, queste sono bene accette.
Dalla storia alla leggenda: Inter – Barcellona 4-3
Se a Barcellona Inzaghi e i suoi ragazzi avevano scritto un'avvincete pagina di storia, nel ritorno a San Siro hanno sciorinato una prestazione che li colloca di diritto nella leggenda del calcio. Inter - Barcellona, e il conseguente approdo alla seconda finale in tre anni, apparterrà per sempre al libro in cui vengono raccolte le rarissime leggende incancellabili del calcio, sullo stesso livello di Italia - Germania 4-3, per intenderci. Le due partite di ritorno con Bayern e Barcellona dimostrano l'enorme forza di questo gruppo, vero propellente per le imprese della squadra. Psicologicamente passare da 2-0 a 2-3 sarebbe stata una mazzata decisiva per qualunque squadra che non avesse la nostra forza morale (quella fisica orami era in calo). Ebbene, un nostro quinto ha compiuto un'azione irresistibile, dopo oltre 100 di gara tiratissima e l'ha messa in mezzo dove un trentasettenne difensore centrale, con il cuore e i polmoni di un leone, si è fatto 80 metri di campo per trovarsi all'appuntamento con il gol bruciando sul tempo chi lo marcava e segnando un gol da grande puntero con il piede... sbagliato. Ma non basta: nel recupero il nostro Thuram, ormai quasi claudicante, ha trovato la forza di farsi largo, difendere palla tra tre avversari e servire in un fazzoletto Taremi. L'iraniano a sua volta ha avuto la lucidità di girarla per Frattesi che intelligentemente si è staccato dalla marcatura, ha ritardato il tiro mandando fuori tempo gli avversari e ha segnato il gol della vittoria clamorosa. Questo gruppo ha grande orgoglio, forza morale ed è un gruppo incredibilmente compatto, dal portiere all’ultimo entrato. Tutti insieme, soffrendo come è inevitabile contro due delle squadre più forti del mondo, sono stati capaci di andare a prendersi la qualificazione all'ultimo respiro sia con i tedeschi sia con i catalani. E che “all'ultimo respiro” non sia un modo di dire lo dimostra il malore che ha colpito Frattesi dopo la segnatura. Le ultime nostre partite in Champions hanno rappresentato uno spot per il calcio. Milioni di ragazzini nel mondo, dopo aver visto queste pagine di calcio emozionante, diventeranno tifosi o almeno simpatizzanti nerazzurri.









